Gold medal's club
Steven

Steven Bradbury era considerato uno degli sportivi di maggiore talento della sua generazione. All'inizio degli anni '90 in Australia era una promessa dello short track e, nonostante l'evidente controsenso di praticare uno sport invernale nella calda Terra dei Canguri, la conquista di un bronzo alle Olimpiadi invernali di Lillehammer sembrava la rampa di lancio ideale verso un futuro stellare.
 
Ma il destino, il fato, o chi per lui, decise di mettersi di traverso. Un terribile scontro con l'italiano Mirko Vuillermin a Montreal, in Canada, durante una gara di Coppa del Mondo, sembrò mettere una fine precoce alla sua carriera. La lama di uno dei pattini dell'italiano andò a recidere l'arteria femorale di Bradbury. Da lì la corsa contro il tempo in ospedale e la consapevolezza di avere rischiato davvero grosso. Le cose avrebbero potuto portare a conseguenze ben peggiori di una carriera rovinata.
 
Cosa fare a quel punto? In tanti, forse tutti, si sarebbero abbattuti di fronte a un incidente così grave. Non Steven Bradbury. Il recupero si rivelò lungo e difficile. In fondo parliamo di una delle arterie più importanti del corpo umano. Un anno e mezzo di riabilitazione riuscì a restituire a Bradbury la piena funzionalità dell'arto. E da lì la voglia di ritornare a correre in pista.
 
Purtroppo da allora Steven non fu più lo stesso. Insieme ai 18 mesi persi a causa del grave infortunio sembrò essersene andato anche il talento. Come spesso accade a sportivi particolarmente dotati, il ritorno dopo un incidente sembra consegnare una copia sbiadita dell'atleta conosciuto in precedenza. Un po' quanto accadde ad Alessandro Del Piero nel 1998 in seguito al famigerato scontro con Marco Zanchi in un Udinese-Juventus di inizio campionato. Nove mesi lontano dai campi e un domani che non sembrava seguire le stesse traiettorie del passato recente.
 
Ma Bradbury insistette e continuò tenacemente ad andare alla ricerca di se stesso. Il suo vecchio nemico, il destino o fato di cui sopra, tentò di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote nel 2000. Un altro grave infortunio, stavolta al collo. Brutta frattura e un mese e mezzo di collare prima di riprendere gradualmente l'attività sportiva. Anche qui le conseguenze sarebbero potute essere più nefaste. A quel punto chiunque avrebbe gettato la spugna. A maggior ragione vista la vicinanza dei Giochi invernali di Salt Lake City del 2002, ormai sfumati.
 
Ma ancora una volta Steven riuscì nell'impresa. Con grandissima forza di volontà riuscì a tornare sui pattini e ad ottenere un pass per le Olimpiadi statunitensi. E lì accade l'impensabile. Nei 100 metri di short track Bradbury partì nettamente sfavorito. In tanti apparivano molto più attrezzati del ventiseienne australiano. Già ai quarti Bradbury sembrò dire addio a ogni sogno di gloria. Il terzo posto finale voleva dire eliminazione. Ma il fato nemico parve diventare benevolo di colpo. Marc Gagnon, arrivato davanti a lui, venne squalificato, aprendo a Bradbury le porte della semifinale.
 
Nel penultimo atto accadde di tutto. Ben tre atleti caddero in pista spianando la strada a Bradbury, arrivato però alle spalle di Satoru Terao. E, sembra incredibile a dirsi, anche lui venne squalificato dai giudici. Bradbury arrivò così in finale da vincitore. Nell'ultimo atto l'australiano partì malissimo. Presto venne staccato dai suoi colleghi e rimase in fondo al gruppo. E quando il traguardo sembrò materializzarsi con le fattezze della grande delusione ecco avvenire l'impossibile. All'ultima curva caddero in quattro, due dei quali, Jiajun e Turcotte erano stati protagonisti della caduta anche in semifinale. Sul ghiacciò si formò un nugolo indefinito di gambe, braccia e pattini. E un Bradbury quasi incredulo volò a tagliare il traguardo in solitaria. E fu il trionfo. Steven Bradbury fu il primo australiano a vincere una medaglia d'oro alle Olimpiadi invernali. La sua storia ebbe grande risalto proprio per il passato tortuoso dello sfortunato atleta. Lo stesso Bradbury interpretò la vittoria come un risarcimento del destino dopo ?dieci anni di vero e proprio calvario?.
 
A quel punto cosa chiedere di più alla propria carriera? L'alloro olimpico sembrava più che sufficiente dopo l'incredibile sequela di disgrazie subite. E così Steven decise di abbandonare il pattinaggio a soli 26 anni. Ma ancora oggi le sue gesta rimangono nell'immaginario collettivo australiano. Ogni qual volta si riesce in un'impresa di questo tipo, nello sport come nella vita di cui il primo è metafora, in Australia si dice: ?Hai fatto un Bradbury!?. Un modo come un altro per dire che hai vinto contro ogni pronostico e in maniera rocambolesca. E in fondo basta anche questo per rimanere nella storia. Ma Steven sa che ad aver vinto è stato soprattutto il suo immenso carattere, più forte di qualsiasi ostacolo.

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fabri80

Fabrizio Gambacci

17:45   02-09-2016

leggete e capirete perchè il suo stile rispetto agli altri era discutibile.